Il giorno 1 dicembre 2015 l’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, ha pubblicato la Circolare n. 6/2015, dove fa le proprie considerazioni sui riflessi dell’introduzione del nuovo delitto di Autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) sull’attività delle banche e i connessi rischi, anche in ottica 231.
Con la suddetta Circolare, ABI non fa che indirettamente confermare la posizione espressa il 29 Luglio 2015 sul tema da parte di Asso231, soprattutto in ottica dei reati origine del provento illecito da reinvestire e delle eventuali modifiche ai Modelli 231 realizzati, analizzando i casi in cui l'origine del provento del reato sia esterna o interna all'organizzazione e rientrante, o meno, nel novero dei reati già presupposto del 231.
Nel primo caso, non può che evidenziarsi la possibilità di attingere utilmente, soprattutto da parte delle banche, all’esperienza maturata in tema di obblighi antiriciclaggio ex D.Lgs. 231 del 2001 ove, seppur solo ai fini di detto decreto, all’art. 2 si dà una definizione di riciclaggio tale da coprire anche l'ipotesi di autoriciclaggio, nonché ai principi, alle regole ed alle procedure, già in essere in ambito aziendale, per prevenire il rischio di incorrere nella «responsabilità amministrativa» per la commissione dei reati ex artt. 648, 648 bis e 648 ter c.p.
Ove i proventi eventualmente illeciti si siano formati all’interno della stessa organizzazione, le procedure e i princìpi di comportamento, già adottati per prevenire il rischio di commissione degli altri reati inseriti nell’elenco di quelli presupposto della responsabilità degli enti, possono risultare efficaci anche per la prevenzione “a monte” dell’autoriciclaggio dei relativi proventi illeciti. Ciascuna organizzazione potrà pertanto far riferimento, nella parte del modello organizzativo dedicata al reato di autoriciclaggio, ai principi di comportamento e ai presidi già implementati per la prevenzione delle suddette fattispecie criminose.
Se, invece, la provenienza del denaro è riconducibile a reati non rientranti nel catalogo di cui agli artt. 24 ss. D.Lgs. n. 231 del 2001 – in primo luogo vengono in mente i reati fiscali, la realizzazione di alcune tipologie dei quali determina non tanto la creazione di nuove disponibilità illecite, ma la permanenza nel patrimonio dell'organizzazione, quale profitto dell’illecito, della somma corrispondente all’importo delle imposte evase - i presìdi devono strutturarsi focalizzando il contenuto del Modello organizzativo non tanto sul controllo circa la provenienza del denaro, quanto sulle modalità di utilizzo dello stesso, in modo da far emergere eventuali anomalie o elementi non ordinari e impedendo il ricorso a tecniche idonee ad ostacolare in concreto l’individuazione della provenienza illecita dei beni. In tale ambito, andrà valutata, in particolare, la segmentazione dei flussi decisionali interni all'organizzazione (con più step di approvazione e verifica, in ragione della particolarità dell’operazione).
Riassumendo, secondo quanto espresso da ABI e condiviso dallo scrivente, per potersi configurare responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001 per il reato di Autoriciclaggio, occorre che:
1. un soggetto apicale o subordinato commetta o concorra a commettere un delitto non colposo produttivo di un provento, presumibilmente (ma non necessariamente) nell’interesse o a vantaggio dell’ente; quest’ultimo ne sarà responsabile ai sensi del D.Lgs. 231 /2001 solo se ciò sia espressamente previsto da detto Decreto.
2. lo stesso soggetto poi impieghi, sostituisca o trasferisca (in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative) quel provento (in ciò concretandosi la condotta di autoriciclaggio) «nell’interesse o a vantaggio» dell’ente (che quindi abbia la disponibilità o tragga vantaggio dall’utilizzo dei proventi del delitto non colposo commesso dal proprio soggetto apicale o dal dipendente), “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa” del provento medesimo. Per quanto sopra scritto ed anche precedentemente ed ufficialmente espresso da Asso231 a Luglio del 2015, non sembra accettabile la posizione di Confindustria secondo cui l’art. 25 octies possa essere interpretato nel senso di escludere la rilevanza, ai fini della configurabilità dell’illecito amministrativo dell’ente, di condotte che abbiano a oggetto proventi di reati non previsti nell’elenco dei reati presupposto. È comunque essenziale la funzione selettiva, sia ai fini della responsabilità penale del soggetto agente, che della responsabilità amministrativa dell’ente, svolta dal requisito del concreto ostacolo alla provenienza delittuosa : esso dovrà essere puntualmente riscontrato, per evitare il rischio di punire per autoriciclaggio anche operazioni di reimpiego delle utilità illecite prive di quell’ulteriore disvalore penale che fonda la punibilità del reato di cui all’art. 648 ter1 c.p. In altri termini, sarà necessario accertare la sussistenza di condotte dissimulatorie ovvero anomale rispetto all’ordinaria attività mentre semplici operazioni “tracciabili”, non avendo tali caratteristiche, non dovrebbero assumere rilevanza penale; diversamente si priverebbe di significato la precisa scelta del legislatore di esigere una idoneità ‘qualificata’ dell’operazione a impedire la ricostruzione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni e della utilità che sono oggetto.
3. Il reato di autoriciclaggio sussiste nelle ipotesi in cui le relative condotte siano successive al perfezionamento del reato che ha dato origine ai proventi illeciti, anche se compiute dopo la sua estinzione (ad es. per prescrizione), o anche se l’autore del medesimo non sia imputabile o punibile, oppure manchi una condizione di procedibilità (ad es., per difetto di querela, oppure di richiesta del Ministro della Giustizia, necessaria per perseguire i reati comuni commessi all’estero, ai sensi degli artt. 9 e 10 c.p.). Le attività sub 2) erano già punibili, peraltro, a titolo di riciclaggio o reimpiego, con conseguente possibile responsabilità dell'ente, ad eccezione però dei casi in cui ad agire fosse l’autore o concorrente nel delitto presupposto, situazione oggi coperta dall'art. 648 ter 1 c.p.